Uno dei sintomi più frequenti di questa fobia è l’avversione verso gli aghi, a cui si aggiungono nausee, attacchi d’ansia, secchezza orale, palpiti, poca lucidità nel parlare e pensare. Esistono poi vari gradi della patologia e si può arrivare a casi estremi per cui viene rifiutata qualsiasi tipo di cura o visita, compresa quella da uno psicologo, che potrebbe invece risultare fondamentale per capire dove sia nato il malessere.
In queste situazioni, qualunque professionista viene etichettato come “medico” e nel paziente questo crea panico e una totale chiusura. Anche l’assunzione del farmaco più semplice è pressoché impossibile. Come deve comportarsi allora il medico e quali terapie seguire per superare il trauma?
Non deve essere uno spettatore passivo ma deve invece conquistarsi attivamente la fiducia del malato. E’ importante infatti che la persona si senta al sicuro e a suo agio, senza sentire l’impulso di andarsene.
La comunicazione quindi è fondamentale. Porre le domande giuste al paziente e analizzare ciò che ci sta raccontando è utile per capire che tipo di persona abbiamo di fronte. Anche un adeguato portamento e tono di voce giocano il loro ruolo in questo rapporto.
Il medico non deve poi basarsi su possibili pregiudizi ma sulle sue ampie conoscenze, che devono essere esposte con parole accessibili a tutti. Riguardo la terapia, oggi è molto utilizzata in questi casi quella comportamentalecognitiva, che consiste in una graduale ma regolare esposizione alla causa della propria fobia.
Grazie all’aiuto di uno psicologo, il cui intervento è strettamente necessario, al paziente vengono insegnati trucchi e tecniche di rilassamento. Tecniche che verranno poi applicate durante le visite con un dottore. Nei casi peggiori è imprescindibile, nonostante le possibili proteste della persona, anche un aiuto farmacologico.